Buon compleanno Ferruccio!

28 aprile 1916 –

28 aprile 2023

“Evelina di a Ferruccio cal vegna zoó cl’è ora ad zenna!” *

“Ferruccio scendi che la cena è pronta!”

“Sal vin brisa zoó a vegn so me a tuur! Cal puten cle semper pers dria al soo costruzion…!” **

 

* “Evelina, di’ a Ferruccio che venga giù, è ora di cena!”

** “Digli che se non scende salgo io a prenderlo, quel fanciullo è sempre perso dietro alle sue costruzioni…!”

Ferruccio Lamborghini, classe 1916, incarna l’archetipo del genio imprenditoriale italiano del Novecento. Nasce da famiglia povera, nelle campagne ferraresi, e da questa origine trae la forza e l’energia per volgere altrove la sua creatività, per costruire un suo nuovo mondo. Ferruccio è attento, irrequieto, mai sazio di sapere e di tradurre in pratica le nozioni apprese. L’esperienza della guerra lo forma e affina le sue innate capacità meccaniche e ideative. Quando ritorna a casa, alla fine del conflitto, è un giovane pronto a forgiare il suo destino, e nei suoi occhi vivacissimi cova la scintilla di una grande impresa. Intuisce che la rinascita dell’Italia poggia sull’agricoltura e, coniugando il suo animo contadino con il sapere di meccanica, decide che la strada da seguire è la produzione di trattori. Trattori solidi, semplici, affidabili. E acquistabili non solo dai latifondisti, ma anche da piccoli proprietari terrieri. Mette in campo la sua tenacia, fa debiti e realizza il sogno. Gli anni ’50 coronano un percorso imprenditoriale coraggioso e un’attenzione ai dettagli che solo chi parte dal basso è capace di immaginare e applicare.

Ferruccio è il modello di operaio/imprenditore che ha segnato innumerevoli storie di successo del secondo dopoguerra italiano: uomini che si votavano alla loro idea, la coltivavano, la facevano germogliare e crescere, rimanendo al fianco delle maestranze e riunendo i dipendenti in una ideale grande famiglia aziendale. Non era un capitano d’industria per legato ereditario o un aristocratico prescelto quale continuatore di una dinastia: ripulite le mani dalla terra, subito aveva deciso di sporcarsele con la morchia dei motori.  E nel lavoro andava giù duro, diretto: ogni dettaglio doveva essere come l’aveva pensato, e se non raggiungeva la perfezione voluta, provava e riprovava fino ad arrivarci.

La leggenda narra il perché dell’approdo alle auto, a noi poco importa nel tratteggiare l’uomo Lamborghini. La sua idea di auto altro non era che l’iperbole del trattore. Riassunta in una parola: l’apice della meccanica. E questo spiega, forse, la sua avversione per il mondo delle corse, che vedeva lontano dal generare quel valore ripetitivo al quale Ferruccio più teneva: l’affidabilità del marchio, che doveva riflettersi nell’eccellenza del suo nome. Tutto in lui rimase legato alle origini: fiuto, intuizione, risolutezza, rapidità d’azione, genio. Qualità intrecciatesi, per un caso di straordinaria alchimia, alle linee rette e senza fine della sterminata pianura emiliana.

Il mondo dell’automobile gli rimase sempre estraneo, ma riuscì a scolpirvi dentro, con entrée da attore consumato, una sua irripetibile leggenda. Nessuno come Ferruccio, per quanto breve fu la sua parabola, riuscì a ritagliarsi addosso, come un vestito di sartoria, il nome del marchio, quasi un’espressione della sua personalità esuberante e gioviale. “Andiamo da Lamborghini”, si diceva. E lui era lì che ti attendeva, impaziente di convincerti ad acquistare uno dei suoi costosi e straordinari bolidi.

Il rapporto tra Ferruccio e la Miura fu anzitutto sensuale, come per ognuno di noi quando ne contempliamo le forme sinuose: venne subito attratto e ammaliato dal disegno di Marcello Gandini, che uscì dalla mano dello stilista di getto, già compiuto. Ma poi rimase affascinato dal connubio tra gli straordinari elementi dell’auto: il telaio, non tubolare ma in lamiera piegata e alleggerita, il motore trasversale, realizzato in un unico blocco con il cambio, la carrozzeria, che vestiva in modo così naturale quel prodigio tecnico. Lasciava fare ai suoi collaboratori, ma ne seguiva passo passo la realizzazione, dettando i tempi, che per lui erano sempre strettissimi.

Il resto è storia conosciuta: poco più di sei anni di produzione, un successo di vendita ineguagliabile, l’ammirazione del mondo intero. Quando Ferruccio Lamborghini si ritira, di lì a poco, nell’ottobre del 1974, acquista da Piero Ferrari una Miura SV rosso corsa. La terrà con sé fino alla morte, non senza aver deciso di ornare i fari con le “ciglia” che egli stesso aveva ordinato di togliere da tutte le altre SV, e poi dedicandole il suo vino migliore.

Se non è amore questo…